Si comincia così, ogni volta.
Prendo lo zaino. Ripasso mentalmente la lista delle cose da portare.
C’è tutto?
Sì.
No.
Non lo so, arrivo a metà della lista e qualcosa mi distrae.
Esco e chiudo la porta con cinque mandate.
La Geografia Fisica
I toponimi, poi le forme fuori dal finestrino, i picchi e le depressioni, le città, le strade, i fiumi, il giallo, il verde, il blu, il marrone, il grigio.
La Geografia Umana
Su un libro che parla di treni ho trovato la citazione di un tizio. Facendola breve, diceva che il modo migliore per comprendere una nazione è attraversarla in treno, perché si viaggia negli spazi che stanno tra le città, dove il paese è nudo.
Poi ci sono i viaggiatori, con la loro geografia tutta particolare, tracciata dalle rughe d’una faccia, dal colore della pelle, dai segni sulle mani, dal suono di un dialetto o di una lingua che non conosci. Dai silenzi, dai vestiti e dalle chiacchiere sul tempo, che, maledetto lui, ovunque ci si trovi, ad ogni latitudine, non è mai come dovrebbe essere.
Capitolo Uno: La Via dei Balcani
Novembre 2015
Lungo i quasi quattromila chilometri che percorro si alternano, in ordine sparso, alfabeto latino, cirillico e greco. Nei pochi metri cubi di uno scompartimento s’incontrano facce slave e mediterranee. Fredde, dure e affilate le prime, calde, brune e salate le seconde.
Intanto lo sferragliare del treno si sovrappone al frastuono delle campane e ai canti dei muezzin.
Odore di sigarette e tappezzeria sudicia, occhi annoiati galleggiano nel vuoto. Fumo azzurro contro la luce che filtra dai finestrini delle carrozze. Mani unte.
Oltre il vetro sfilano Lubiana, Zagabria, Sarajevo, Podgorica, Belgrado, Skopje, Sofia, Istanbul, e Atene.
Poi neve, fuochi, montagne, forme che affiorano confuse dalla nebbia, uomini e cani randagi.
L’ufficiale di turno timbra il mio passaporto, una, due, tre, quattro, nove volte.
Qua si annodano i lembi estremi di Europa e Medio Oriente, in un ribollire incessante di facce, storia e questioni irrisolte.






































